Per ricordare il carissimo maestro G.Baldrighi, che ci ha lasciato la sera del 9 aprile, ecco le parole di un ex-alunno che ha avuto modo di conoscerlo molto bene.
DEDICA (Al Maestro)
Per tutti quelli che hanno avuto l’onore, il piacere e la fortuna di conoscere il Maestro Gianfranco Baldrighi, il titolo di questo piccolo omaggio letterario apparirà meno generico di quanto possa apparire a chiunque altro: per il sottoscritto, Dedica porta con sé un carico di sensazioni, ricordi, melodie ricorrenti e ben salde nella memoria a lungo termine, alla stregua delle prime note di un notturno di Chopin, di una canzone di Lucio Battisti, di un ritornello di Dalla o di Celentano, e di qualsiasi brano musicale possa avere generato vera e propria affezione, nel corso degli anni, nel corso di un’intera vita, per le ragioni più svariate.
Dedica, è il titolo di un brano incluso nella raccolta “Briciole”, ovvero una serie di partiture per pianoforte che il Maestro pubblicò nei primi anni ’90. Un brano che ho studiato per mesi – come me, suppongo molti altri abbiano avuto la sorte di eseguirlo – e uno dei primi che ho potuto suonare con soddisfazione dall’inizio alla fine, poichè relativamente semplice da apprendere, eppure così intenso e indementicabile dopo il primo ascolto.
Le briciole – volessimo riferci al cibo e scegliendo tuttavia di non limitarci a esso – non sono forse una piccola parte di qualcosa di più grande? Non sono, forse, in atto, la cosa grande scomposta in parti minori? Possiamo dunque affermare che le briciole siano la Parte e il Tutto e che, forse, nella vita, qualcuno scelga di condividere parti di sé affinchè più persone possano goderne; e che il valore nutritivo – per l’anima, per il corpo – di quelle stesse parti, abbia in seno la potenza, l’identità, la magia del Tutto.
Senza ombra di dubbio ciò che scrivo non può essere niente di diverso dalla mia interpretazione, fondata sulla esperienza personale, di quanto il Maestro Baldrighi mi ha mostrato nel corso di quasi un terzo di secolo.
Lo vidi per la prima volta in Collegio, nel 1986 : fu il mio maestro di musica alle Elementari, poi il mio professore di Educazione Musicale alle Medie e il mio unico insegnante di pianoforte, dalla Prima Elementare alla Quinta Liceo. È stato un amico e un modello al quale per molti versi mi sono ispirato, e nonostante negli anni mi abbia aperte, con la sua famiglia, le porte di casa propria e si sia sovente sbilanciato a mio favore in discorsi che nulla avevano a che vedere con la musica, non sono mai stato capace ci rompere il patto – felice, a tratti anacronistico – di rispetto e soggezione che provavo nei suoi confronti; sentimenti spontanei, rivolti a chi è capace di incutere quel timore reverenziale sotto il quale si nasconde una grande predisposizione all’empatia, all’ascolto, alla condivisione.
Nella seconda metà degli Anni ‘80, il Maestro camminava con un maglione stretto, il collo a “dolce vita”, una giacca in fustagno e pantaloni che si aprivano lievemente a campana, dal ginocchio alla caviglia, lungo il corridoio semi-buio che portava all’aula di musica. Dietro di lui, in fila per due, nel silenzio di un Collegio Sant’Antonio dove le regole avevano un peso specifico incontrovertibile, procedevano venti o trenta bambini con il naso all’insù, a fiutare odori, esplorare luoghi in apparenza austeri e infinitamente familiari.
«Tu! Sì, tu che chiacchieri e pensi di nasconderti perché sei più piccolo dei tuoi compagni… Dico a te! Da oggi e per tutte le prossime lezioni ti incaricherai di raggiungere l’aula tre minuti prima che io arrivi, e aprire le finestre. Quando avremo terminata la lezione, chiuderai le finestre e poi la porta. Le chiavi dell’aula te le darò io. Voglio inoltre che ti incarichi di segnalare chi chiacchiera. E se non lo farai, ti metterai una nota! Intesi?».
Già, perché il Maestro Baldrighi non ti metteva le note: riteneva più giusto che lo studente che per qualsivoglia ragione aveva mancato di rispetto a lui, ai compagni, a se stesso, la nota se la scrivesse da sé. Nello stesso modo in cui, quando mi beccò a chiacchierare, decise di manifestare chiaramente la sua posizione assegnandomi delle responsabilità. Fu così che iniziai a capire che di fronte a me avevo un artista: il primo artista che avessi mai conosciuto nella mia allora molto breve vita!
Il Maestro arrivava a scuola sempre elegante, mai appariscente. Eccentrico nei modi, difficilmente penetrabile nello sguardo; la voce chiara, il timbro indimenticabile. A volte il tono diveniva sordo, profondo, di certo complice la sua passione per i tabacchi, e quando le parole sfumavano dall’acuto al grave, quando le spiegazioni in classe rivelavano tensione impregnata di un gusto dolce alla base, per quanto possa sembrare una sorta di ossimoro, io sorridevo. Perché vedevo l’uomo, vedevo il professore, l’artista. Sentivo la lotta interiore, le note musicali come domanda e come risposta, la volontà e il dovere, il desiderio di superare, superarsi, senza mai andare sopra le righe: scriverne di nuove, piuttosto.
Ricordo quando ci fece vedere Amadeus, il film di Milos Forman dedicato a Mozart, e fece una premessa: « Ragazzi, c’è un punto in questo film dove ci sarà una scena osè: mi raccomando non voglio sentire commenti o risatine …». Ovviamente qualcuno rise, ma lui non si arrabbiò. Una scena osè innocua, forse non del tutto per quei tempi, ma senza ombra di dubbio una quisquiglia se paragonata alla diffusione incontrollata del nudo che spopola oggi.
Era in apparenza un maestro severo il Baldrighi, ma non un censore e ancora meno un bacchettone. Credo avesse ben presente che l’unico vero modo per offrire un percorso di crescita a un essere umano, a un alunno, non fosse reprimere, nascondere, mimetizzare, ma piuttosto portare consapevolezza e guidare.
Da lui sono stato (e quanti, credo, come me!) guidato alla e nella passione per la musica. Personalmente scelsi il pianoforte: ricordo le lezioni in uno stanzino odoroso di sigaro, che si trovava a metà delle scale che collegavano, ai tempi, l’area di ricreazione delle scuole Elementari, ubicata al piano terra, con il primo piano, dove si trovavano le aule delle Elementari stesse. Quel pianerottolo ha assunto negli anni valori diversi per me e molti altri studenti: la condanna alla riduzione dell’intervallo alle scuole medie (poiché, nel mio caso, la lezione di pianoforte iniziava mentre si svolgeva la ricreazione pomeridiana). Poi divenne la salvezza, nei primi anni del liceo, poiché grazie alle lezioni di pianoforte potevo saltare una parte dello Studio, ovvero l’impegno a stare in classe e fare i compiti nel pomeriggio, per chi come me frequentava il Collegio a tempo pieno. Non solo condanne e salvezze innocenti: l’aula del Baldrighi e il Maestro stesso, furono testimoni di dolci amori che a quell’età non sapevano confessarsi! Lui, invece, sapeva benissimo cosa poteva passare nella testa di due adolescenti: e allora il fatto che la fine della lezione di una determinata ragazza coincidesse con l’inzio della mia, generava uno spazio senza tempo nel quale ci si poteva incontrare, aggredire gli occhi o fuggirli; addirittura sedersi muti l’uno accanto all’altra, mentre il Maestro prolungava volontariamente di cinque minuti la lezione di lei, dando a me l’opportunità di giocare le carte, goffe ma sincere, che avevo a disposizione.
Gianfranco Baldrighi poteva essere anche un confidente. Ascoltava e nondimeno raccontava. Ho visto con piacere, sentendomi un privilegiato rispetto ai miei compagni, le foto della sua giovinezza, le onorificenze conferitegli dalle più svariate istituizioni per il contributo musicale e umano offerto alla società, fino al Cavalierato che, se non ricordo male, gli fu attribuito per meriti artistici dall’Istituizione Ecclesiastica. Non ero un virtuoso e soprattutto ai tempi ero molto insicuro, tendevo a imbarazzarmi in modo compulsivo: per questa ragione mi rifiutai categoricamente di partecipare, come pianista, ai saggi che organizzava. Ciononostante vi presi sempre parte come spettatore e un anno ebbi anche l’onore di presentarne uno. Eppure il pianoforte ho continuato a studiarlo, e nel corso degli anni mi sono anche liberato dalla vergogna compulsiva, scoprendo così il piacere di suonare per gli amici più cari, di potermi sedere in un aeroporto o in mezzo a una piazza cittadina o, ancora, all’interno di un museo, nell’angolo di un ristorante e ovunque ci fosse un pianoforte, per allietare il mio animo e quello di chi ha voluto apprezzare le mie umili note. Grazie allo studio del piano, mi sono potuto aprire come onesto dilettante anche alla chitarra, alla batteria, fondando così i miei gruppi rock, punk, generando e vivendo alcuni dei momenti più indimenticabili che abbia vissuto fino a oggi.
Sono certo che tutti gli alunni del Maestro Baldrighi, così come i colleghi, gli amici, i collaboratori, abbiano ricordi indelebili della personalità unica del Professore e, soprattutto, abbiano avuta la grande opportunità di mettere un pochino di musica e umanità in più nelle loro vite: le Opere liriche che il Baldrighi suggeriva di studiare e vedere (spesso potevamo ascoltarle o vederle con lui nell’aula di musica, attraverso le ormai irreperibili videocassette); i viaggi in Austria, a Salisburgo, e le visite a Mauthausen, che ispirarono il Maestro nella composizione de “ I Giardini di Mauthausen” (‘Scorre il fiume non lontano, è lo specchio dei ricordi, scende un fremito piano piano, che sa scuotere anche i ricordi […]’), così come le ricerche sugli strumenti e sui compositori, proposte alle Medie, rimarranno indimenticabili, insieme ai personali ricordi di ciascuno di Voi che state leggendo queste righe, attraverso le quali ho provato a condividere le Briciole che il Maestro mi ha offerte nella sua vita, nella speranza possano avere solleticata la memoria di qualcuno, rinvigorita quella di qualcun altro.
Gianfranco Baldrighi che solleva le spalle e viene attraversato da fremiti continui mentre suona il pianoforte; Gianfranco Baldrighi che arriva a scuola a bordo di una Rover, parcheggia quasi sempre nello stesso spazio, scende dall’auto, impugna una borsa in pelle e saluta chi incontra con un movimento impercettibile del capo; Gianfranco Baldrighi che gestisce la pedaliera del pianoforte con il piede destro e dondola il sinistro, tacco e punta, sul suolo, tenendo il tempo, suggerendo il tempo; Gianfranco Baldrghi che accende una sigaretta e guarda lontano; Gianfranco Baldrighi che si sbilancia in un sorriso quando durante la lezione di pianoforte gli dici che quel giorno anzichè suonare tu, desideri sia lui a suonare per te, poichè apprendere non è solo eseguire ma, dal tuo punto di vista, è soprattutto ascoltare. Gianfranco Baldrighi che si infuria con uno studente e propone soluzioni radicali per correggerne l’atteggiamento, ma poi capitola di fronte alla propria bontà e sceglie il perdono. Gianfranco Baldrighi che minimizza il problema di artrosi alle mani che gli impedisce di suonare, ma si vede benissimo che la situazione lo preoccupa. Gianfranco Baldrighi con un paio di occhiali dalle lenti tendente allo scuro. Ginfranco Baldrighi che chiude gli occhi mentre esegui i solfeggi e gli esercizi assegnati, e tu credi si sia addormentato e pensi che non abbia registrati i numerosi errori che hai fatti, e quando meno te lo aspetti con uno scatto si rianima, toglie lo spartito che hai di fronte e ti indica una per una le note che hai eseguite male. Gianfranco Baldrighi che siede su una poltrona di casa propria, sente il campanello suonare, lascia sia la moglie a sincerarsi dell’identità di chi gli sta facendo visita, e poi ti accoglie con un sorriso, ti invita a sedere, chiama i familiari presenti in casa perchè ama che ci sia compartecipazione, e non dimentica mai chi sei …
… Briciole.
Caro Maestro Baldrighi, sto scrivendo da diecimila miglia di distanza da Busnago. La notizia di quanto è accaduto mi è arrivata qui, e mi sono sentito impotente, addolorato dal fatto di non poterci essere nella giornata in cui tutti i tuoi Amici ti hanno salutato nell’ufficialità di quello che chiamano Funerale.
Quanto mi sono permesso di scrivere è solo una parte irrisoria, magari imprecisa, di ciò che mi è rimasto nel cuore , di tutto quello che potrei raccontare, ma ho la certezza – la ho a scanso di qualsiasi retorica – che ci ritroveremo un giorno nella nota più semplice, in un DO. E sarà Maggiore. Migliore.
Con infinito affetto a Te, alla tua Famiglia, alla intera Comunità del Collegio Sant’Antonio, ai tuoi Colleghi, ai tuoi Amici, a tutti gli Alunni, a Busnago.
Un Ex Alunno
15 Aprile 2018